RACCONTIAMOCI CON IL CUORE
Vi proponiamo la nuova rubrica “Raccontiamoci con il cuore” dove potete leggere le straordinarie testimonianze di giovani Aspi, familiari e amici che vivono la condizione dell’Autismo.
Gruppo Familiari a confronto nell’ambito del gruppo Teatri di famiglie
• A volte mi chiedo: “Chi sono? Cosa desidero?”
Oggi sono una persona che fa fatica, fa fatica a portare uno zaino pieno di sassi. Non lo vede nessuno ma c’è? E ogni giorno ne aggiungo uno. Ora lo zaino è diventato troppo pesante. E pieno, ma ho ancora tanti sassi da mettere dentro. Non posso svuotarlo e non riesco più a riempirlo chi mi può aiutare a portare questo zaino. Devo farmi aiutare da qualcuno, ma a chi posso chiedere? Non posso lasciare il mio zaino a nessuno ma oggi non ce la faccio più!
Grazie al gruppo di genitori che ho incontrato in asi, oggi posso dirlo perché non sono più la sola ad avere questo zaino e posso anche condividerlo con altri e magari anche sorridere di quelle situazioni che erano tanto faticose, dolorose, devastanti.
• Chi sono? Da dove vengo e dove vado?
Diventa tutto chiaro, grazie al dono di una figlia che mi ha imposto un impegno, una rinuncia, una dedizione, una missione: la cura di occuparmi di lei. Di chi ha bisogno. L’ho fatto lavorando al Harp, un lavoro che neppure sapevo esistesse; come un disegno, un progetto di un altro che mi ha chiamato ad un lavoro, ad una vita vera che mi ha fatto conoscere un’umanità bisognosa e mi ha restituito un’immagine più vera di me stessa.
Sì, dare il tempo, la mia vita per un’opera, per un progetto di un altro, molto più grande e bello di qualunque altro avessi potuto immaginare. Una vita faticosa che mi consuma, ma mi fare sentire viva, parte di un disegno di bellezza. Ora so chi sono e cosa sono venuta qui a fare servire un progetto di bene, non più di affermazione di me stessa.
• Quanto vorrei sentirmi libera! Libera persino di litigare con mio marito!
Senza dover sempre anteporre i bisogni e la tranquillità di mio figlio.
Ma non è possibile! Impossibile anche soltanto alzare la voce! Siamo proprio condizionati!
Mi sa che fisso un appuntamento dallo psichiatra; un appuntamento per poter litigare con mio marito!
Però potrei anche prendere l’agenda e fissare un appuntamento con mio marito quando mio figlio è fuori casa!
• Andare in giro con mia figlia è proprio uno stress. Soprattutto in macchina.
Quando poi non c’è posteggio è un incubo. Non ha pazienza e si innervosisce se al primo piano dell’autosilo non trovo subito il posteggio.
Al secondo giro già inizia a sbuffare a dire che era meglio restare a casa. Al terzo giro, quando finalmente intravvedo un posteggio inizia ad inveire: “Sbrigati; stai attenta a non fartelo rubare!”.
Quando viaggiamo diventa la mia maestra di guida: “Stai attenta, non andare veloce, non si passa con l’arancione, non si posteggia se non nei parcheggi regolari, non rispondere al telefono neppure in viva voce, non salutare dal finestrino!”. Non parliamo dei viaggi perché per lei non dovremmo mai prendere l’autostrada e optare per la cantonale che le dà più sicurezza. Se poi inizia ad imbrunire è un vero problema; lei desidera rientrare prima che diventi buio perché la notte le fa paura, la mette in ansia.
In teoria ha ragione lei! Le regole sono regole! Non ci sono sfumature possibili!
• Elisabetta: la fatica di una madre familiare curante
Mio figlio è un tesoro, una sorta di angelo, ma, con l’immenso amore che provo, sento anche una grande fatica. A volte mi sento esausta… non c’è la faccio più… tutte queste preoccupazioni… cose da fare, che mi cadono addosso…
Sono preoccupata per la sua solitudine, il suo immergersi totalmente nel lavoro, l’assenza di amici; per il suo futuro.
Come mi piacerebbe sistemare tutto… mettere ogni cosa al posto giusto. Volare alto!
Sara, racconto di me
C’era una volta
tanto tempo fa in un luogo dove il tempo scorre molto lentamente e in maniera disordinata, viveva una donna misteriosa.
Il suo futuro era un mistero, i suoi pensieri erano dolorosi perché il passato si mischiava con il presente creando in lei dei sogni che la turbavano molto e non le permettevano di andare oltre.
La sua bocca era totalmente senza parole e stava in silenzio!
Si trovava in uno stato di impotenza perché non aveva più nessun legame con il suo corpo, cosa poteva fare? poverina! il suo sguardo era totalmente ceca e sperduta nell’infinito dei suoi pensieri e purtroppo rimase per sempre li, in quel luogo senza tempo e senza una forma di vita in cerca di amore e spiritualità.
Sara, la mia paziente meravigliosa
L’igienista dentale e l’odontoiatra svolgono ruoli molto importanti per la salute della bocca dei pazienti autistici.
Attraverso il loro supporto e l’istruzione alla persona possono contribuire ad evitare cure complesse, limitando gli interventi.
Il dentista e l’igienista possono aiutare i genitori per l’igiene domiciliare consigliando un training educativo specifico.
Il lavoro del genitore è costante e faticoso nel tempo, ma porta sicuramente a grandi soddisfazioni.
Ad oggi, con un po’ di esperienza, posso affermare che non bisogna aver paura di entrare nel mondo “puro” di un autistico: se siamo capaci di osservare oltre la sua “diversità”, l’autistico insegna una infinità di cose.
Ho conosciuto Sara nel 2007.
Sono la sua igienista dentale.
In ambito lavorativo è la persona che ha reso possibile ogni cosa apparentemente impossibile.
Lei è autistica, per me è semplicemente una ragazza fantastica e la mia miglior paziente.
Nessuno mi ha mai dato tanta soddisfazione quanto lei.
Sono diventata la sua igienista dentale; accettata perché non è sufficiente essere professionale, bisogna essere anche molto, molto sensibili.
Sara è l’esperienza migliore che mi poteva capitare.
Prima di lei ho avuto altre esperienze lavorative con disabilità diverse.
Ho compreso da subito che non bisogna diventare autistici per aiutare e comprendere un autistico, bisogna solo capire cosa riesce a fare meglio senza chiedergli continuamente di fare cose che trova troppo difficili, finendo per creare agitazione, insofferenza e panico.
Sara solitamente entra in studio con una espressione che pare “non contenta”… in realtà è il suo modo per dirmi: “sono arrivata… non è che mi va molto stare qui… ma sono contenta di vederti”.
Lei ha una pazienza eccezionale: sa rimanere immobile un’ora senza muovere un millimetro la testa. Fantastica!!!
La madre ha fatto un lavoro spettacolare per aiutarla ad affrontare al meglio le situazioni.
I primi anni, Sara non parlava se non interpellata… ultimamente, invece, parla abbastanza di “sua iniziativa”; a volte in un’ora riesce anche a farmi una o due domande.
Di mia iniziativa chiedo pochissimo, imposto piccole domande semplici dandole tutto il tempo per comporre le sue risposte.
Sara non ha filtri, non conosce l’inganno e non dice bugie… rimane sempre schietta… a volte diventa critica su atteggiamenti di “altri” esprimendo disappunto riguardo l’insensibilità dell’uomo.
È molto intelligente: una intelligenza diversa, che bisogna sforzarsi di vedere, perché esiste.
Lei è testarda, tenace: vuole a tutti i costi arrivare alla sua meta e basta solo darle il tempo e la fiducia… arriva a tutto.
A lei ho insegnato come pulire bene i suoi bellissimi denti; si dà molto da fare e riesce meglio di altri che non sono autistici.
Sara… una persona meravigliosa e una paziente meravigliosa.
Sono comunque convinta che la vita di un autistico può essere bella e felice come la vita di una persona neurotipica: di fondamentale importanza è l’impegno del genitore, che non si deve abbattere.
I ragazzi autistici possono superare numerose barriere: stimolateli, amateli, date loro tempo e fiducia e abbiate tanta pazienza, perché sapranno sorprendervi.
Ad oggi posso solo RINGRAZIARE Sara, perché attraverso i suoi sforzi, i suoi traguardi, ho scoperto che a volte ci fissiamo troppo sui limiti: nulla è davvero impossibile.
Lei è esempio di volontà… la mia paziente meravigliosa… una ragazza dolcissima a cui auguro di vivere la vita come si sente, seguendo la sua logica; perché possa affrontare il mondo a suo modo, con i suoi tempi.
Io posso solo sforzarmi di capire.
~ Antonella Binda
Isolamento: sono stato un Hikikomori
“Hikikokomori”: parola giapponese formata dalla fusione dei due termini “hiku” (tirare indietro) e “komoru” (ritirarsi). Tradotta, significa “stare in disparte”.
È un termine formulato per indicare quelle persone che si isolano nella propria stanza e l’unico contatto che hanno con l’esterno è via internet.
Questo fenomeno in Giappone è molto diffuso, ma è in aumento anche da noi, nonostante se ne parli meno.
Naturalmente si può suddividere in diversi stadi, che vanno dall’individuo che conduce una vita socialmente molto ritirata a chi non esce dalla propria stanza neppure per consumare i pasti.
Premettendo che ancora oggi faccio molto uso di internet per studio o per aggiornarmi su argomenti che di volta in volta mi interessano (ma che poi approfondisco leggendo dei libri), per parlare della mia esperienza, senza dover descrivere nuovamente tutti i miei disagi di aspie, voglio precisare che la condizione di hikikokomori l’ho vissuta mentre frequentavo i primi anni di liceo, quando – uscito da un’infanzia dove non ero ancora pienamente cosciente della mia diversità – non mi trovavo bene con i miei compagni ed ero solo e triste, nonostante il mio desiderio di farmi accettare.
Inoltre, il mio rendimento scolastico era deprimente, ma questa è un’altra storia…
Con il tempo, e le frustrazioni subite, avevo sviluppato la paura a mostrarmi in pubblico, fosse solo per andare al supermercato, perché con la mia sensibilità esagerata, oserei dire patologica, pensavo che le persone che avevo intorno potessero giudicarmi solo osservando ciò che stavo acquistando.
Insomma, la mia insicurezza era così forte che ne ero diventato schiavo.
In quel periodo, oltretutto, ero in terapia da uno psicologo che niente aveva capito del mio “essere diverso”.
Con un vissuto così doloroso, per difendermi e non isolarmi completamente, rischiando l’eremitaggio, l’unico espediente che avevo trovato era quello di chiudermi nella mia camera e collegarmi in rete.
Solo così riuscivo a modo mio a restare connesso con il mondo, usando lo schermo come uno scudo per difendermi.
Non sono arrivato ad abbandonare la scuola forse per l’imbarazzo di dover ammettere il mio disagio, o forse per istinto di conservazione, ma, per il resto, avevo mano a mano chiuso i contatti con quelli che erano stati i miei amici d’infanzia.
Questi comunque mi avevano accettato, ma, mentre loro crescendo cambiavano e allacciavano nuove relazioni, io mi rifugiavo nel mio mondo per non essere ferito ulteriormente.
Oggi mi rendo conto che allora non avevo prospettive pratiche, né spirituali.
Avrei dato qualsiasi cosa per smettere di pensare e, connettermi in rete, faceva parte di questo processo.
Non ero cosciente di che cosa mi stava succedendo, della sofferenza che stavo procurando a chi mi stava intorno, in queste condizioni non ero in grado neanche di cercare la via d’uscita che poi avrei trovato.
Ma anche questa è ancora un’altra storia…
~ Corrado Tonini
Meltdown
Avevo in mente di parlarvi di comunicazione, ma – in realtà – prima di trattare questo argomento che ha molte sfaccettature, mi sembra opportuno aprire una chiosa sull’argomento meltdown, perché, almeno per la mia personale esperienza, i due argomenti sono correlati.
Cosa innescava i miei meltdown e cosa provavo in quei momenti (parlo al passato perché adesso, con la coscienza e l’allenamento, riesco con successo a tenere a distanza l’eccessiva emotività)?
Per onestà devo anche ammettere che nel mio caso le “crisi” non erano poi così frequenti.
Ho cercato di immedesimarmi in quello che sentivo in quei momenti: succedeva sempre dopo aver troppo a lungo contenuto le mie emozioni esacerbate da una sensibilità eccessiva, quando la mia energia era così bassa da non poter più controllare e gestire le mie emozioni e, quindi, la mia capacità di reazione era compromessa.
Allora potevo scattare per una sciocchezza, nonostante ce la mettessi tutta per controllarmi.
Cosa mi succedeva dentro, durante questi episodi?
Nonostante fossi perfettamente cosciente di ciò che stava accadendo, non avevo il controllo delle mie azioni, dei miei pensieri e di quello che poteva uscire dalle mie labbra.
Praticamente era come se fossi posseduto da un’entità che non ero io.
Pensando oggi a tutto ciò, mi viene da dire che forse le pratiche di esorcismo che dal medioevo in poi sono state messe in atto, potessero essere dei tentativi da parte della chiesa cattolica di considerare (dato che gli studi sugli asperger sono recenti) gli episodi di meltdown come opera del demonio.
Credo che questi fenomeni si possano paragonare a quelli di “momentanea follia” dei neurotipici, salvo che a differenza di questi ultimi, gli autistici hanno un livello di coscienza più alto, quindi più difficilmente si produrranno in episodi violenti o autolesionistici e non raggiungono mai stadi di esagerata efferatezza.
Comunque, nel nostro caso, non si tratta di rabbia, ma piuttosto di frustrazione e sofferenza: è un modo di comunicare il nostro profondo disagio.
A volte poi mi succedeva, dopo aver dormito – quando ero ormai perfettamente sveglio – di ritrovarmi a non poter muovere neanche un muscolo e, così immobile, neppure riuscire a comunicare.
Erano episodi che duravano al massimo due minuti, per me era un tempo lunghissimo che vivevo con terrore.
Non so se questo ultimo fenomeno si può imputare al fatto che sono un aspie, ma ormai sappiamo che il nostro è un “mondo di diversi con delle caratteristiche comuni”, senz’altro, come tutti, aspiriamo a una buona qualità della nostra vita.
~ Corrado Tonini
Percezioni: Tu sei l’universo, tutto il resto è percezione
La nostra vita, come quella dei nostri famigliari non è senz’altro una vita facile: fin da piccoli, a differenza dei neurotipici, avevamo capito che la strada era piena di pericoli; la capacità di leggere le persone, la ricettività emotiva, l’abilità della percezione ci avevano già messo in guardia sulle difficoltà e sulla solitudine che ci avrebbe perseguitato anche da adulti. Già, la solitudine: la grande malattia che ci unisce, neurotipici e neurodiversi. Sono convinto, però, che per guarire dalla solitudine che desertifica le nostre anime, la rivoluzione deve iniziare in famiglia: la parola magica che apre tutte le porte è amore.
Amore verso se stessi, prima di tutto: quando ci si ama ci si conosce, si è predisposti ad amare ed accettare gli altri per quello che sono… nel nostro caso un figlio autistico. Cercare di cambiarlo non è sano, noi non siamo dei malati mentali a cui somministrare degli psicofarmaci solo perché siamo diversi, diversi da un’immagine precostruita. È li che nascono i nostri problemi, il non essere compreso porta – nel migliore dei casi – alla depressione, ai trigger che innescano melt down quando la persona non ha abbastanza energia per proteggersi.
Io la mia strada personale, e sottolineo personale, per proteggermi e per alimentare l’energia l’ho trovata nella meditazione e nella cura della mia parte spirituale, ma ogni soluzione è valida se ti fa stare bene e ognuno deve trovare il suo modo. All’inizio ho accennato ad alcune fra le nostre abilità, partendo da mie esperienze e avendo ben presente che ogni essere umano è unico, e un’autistico lo è se possibile ancora di più: proverò ora a spiegare meglio a che cosa mi riferivo con l’umiltà di chi è cosciente e non ha la presunzione di essere un terapeuta.
Per esempio gli autistici hanno la capacità extrasensoriale di percepire l’energia, non necessariamente col cervello, ma anche con la pancia, le mani o all’altezza del cuore.
Per farmi meglio capire farò l’esempio di un suono che non è altro che energia in forma di vibrazione, entra nell’orecchio, attraversa il timpano che lo trasmette al cervello, ed è percepito come suono, alla stessa maniera noi percepiamo l’energia. Non dico che questa caratteristica appartenga solo agli autistici, ma mentre un neurotipico questa abilità deve conquistarla e mantenerla con l’allenamento noi l’abbiamo innata.
Alcuni di noi sono oltretutto empatici, hanno cioè la percezione dell’energia emotiva di chi gli è davanti, oppure come succede a me, la percepiscono anche se il soggetto è fuori dal loro campo visivo.
Altri hanno l’abilità della chiaroveggenza, la possibilità cioè di vedere cose attraverso l’energia che emanano, così come la capacità di percepire suoni sempre attraverso la loro energia.
Devo aprire una parentesi sulla possibilità che alcuni autistici con difficoltà verbali, abbiano l’abilità di comunicare telepaticamente. Questa è una mia teoria, e anche se alcuni terapisti sono d’accordo con me, non è supportata da nessuna pubblicazione scientifica.
L’elenco delle nostre abilità potrebbe continuare, e ognuno di noi potrebbe aggiungerne una voce: non vorrei fare di tutta l’erba un fascio, mi rendo conto che ci sono situazioni e situazioni, ma dove è possibile e nella misura in cui questo è fattibile, queste abilità ci devono essere riconosciute – e non mortificate come spesso accade – altrimenti la fiducia in noi stessi e nelle nostre possibilità sono destabilizzate, non riusciremmo mai a vivere in armonia con noi stessi facendo affidamento su una personalità consolidata.
~ Corrado Tonini
… Fino a che le farfalle voleranno ce la farò
Si parla moltissimo di realizzazione.
Ma cos’è la realizzazione?
Ci sono veramente tante persone che in tutta coscienza possono affermare di essersi realizzate?
A mio parere la vera realizzazione è quella dello spirito, è la libertà di essere ciò che siamo realmente, si tratta di vivere.
Cosa ci blocca?
Perché non possiamo crescere in armonia con noi stessi? Per un aspie come me che vive in un mondo composto prevalentemente da neurotipici le cose si complicano ulteriormente.
Sono cosciente che alcune cose che dico, e in futuro dirò, possono risultare come le farneticazioni di una mente un po’ fuori dalla realtà (per non dire di un pazzo), ma io sono questo, razionale e irrazionale, mi piace pensare all’anima come un cristallo dalle molteplici sfaccettature che riflettono sfumature sempre diverse.
IL SORTILEGIO
Questa testimonianza la voglio dedicare a mia nonna Mimi, che – usando una metafora – posso affermare non mi ha mai obbligato ad issarmi su una seggiola per arrivare al suo livello, ma si è chinata sempre per giocare con me.
Ma non è solo per questo che devo ringraziarti nonna. Partiamo dall’inizio, quando, una sera di qualche anno fa, Ia mia nonna se ne è andata così come era vissuta… magicamente quasi, col sorriso sulle labbra. Tutta la famiglia riunita, evento unico, per festeggiare una ricorrenza, lei, creatura straordinaria che era passata attraverso questa vita con la leggerezza e i colori di una farfalla, senza mai pronunciare una frase malevola o un un pettegolezzo maligno. Alla mia domanda se si sentisse bene aveva risposto: “No, ma va bene così”.
È stata l’ultima frase che ci siamo scambiati, ma tutti e due avevamo capito. Dopo alcuni minuti si è alzata dalla poltrona dove era seduta e il suo corpo si è accasciato sul pavimento e lei, propio come una farfalla è volata via. Da lì a poco mi sono trasferito per studio a Torino, solo e depresso, non capivo il motivo per cui dovunque mi trovassi ero comunque fuori posto. In un periodo nero, mi sono auto-diagnosticato la sindrome di Asperger. Dopo poco l’Italia implodeva a causa di un virus dai contorni misteriosi, come i suoi effetti sulle menti di chi non era stato colpito dalla malattia. lo senza poter uscire di casa, ho fatto l’unica cosa che sapevo fare: leggere.
A coloro che aspettano soltanto i fiori
mostrare la primavera
nelle erbe che si intravedono
sotto la neve in montagna
(Fujwara no letaka)
In quel frangente ho cercato informazioni prima sull’autismo, poi su che cosa potessi fare per uscire da quello stato di perenne angoscia. È stato allora che ho iniziato a praticare la meditazione, a riflettere su me stesso e sono arrivato alla conclusione che se volevo cambiare il mio mondo, doveva cambiare la mia percezione di quello che avevo intorno.
C’è voluto ancora del tempo e del lavoro per trovare dei punti fermi nella mia vita. Adesso posso dire che il periodo di clausura forzata ha contribuito a fortificarmi, la meditazione è stato il punto fermo intorno al quale ho fatto ruotare tutto me stesso continuando ad informarmi per trovare la mia verità. Nel frattempo ho fatto scelte che a prima vista potevano risultare azzardate: fondamentale è stato lasciare Torino e l’università, mi sono trasferito in un piccolo paese di montagna, dove avrei cercato un lavoro che mi permettesse di vivere indipendente dalla famiglia.
Il mio istinto mi diceva che avevo bisogno di stare in un posto dove il contatto con la natura mi aiutasse a fare pulizia di tutti i preconcetti che negli anni avevo assorbito. Una voce mi diceva che se avessi fatto luce dentro di me questa luce si sarebbe diffusa anche intorno. Proprio in montagna, sdraiato su un prato a leggere, mi sono imbattuto in alcune frasi che sono state fondamentali per la mia realizzazione… sostanzialmente recitavano così: “La parola non è soltanto un suono e un simbolo scritto. È una forza, è il potere di esprimere e quindi di creare gli eventi nella nostra vita”.
È lo strumento della magia, può creare o distruggere. Ognuno di noi è un mago capace di imprigionare gli altri con i suoi incantesimi o liberarli. Attraverso le nostre opinioni lanciamo continuamente sortilegi; agganciando la nostra attenzione, la parola può entrare nella mente e cambiare la nostra percezione.
Leggendo queste frasi mi sono reso conto, come folgorato, di essere stato schiavo di un sortilegio provocato dai commenti negativi che fino ad allora mi erano stati rivolti e, credendoci, ero caduto nel maleficio, con l’aggravante che essendo un empatico e per questo, quando qualcuno mi parla, ho sempre l’impressione di intercettare qualcosa che va oltre le parole, con le mie “antennette da extraterrestre” capto anche i giudizi negativi non palesati verbalmente.
Riflettendo, mi sono reso conto che qualunque cosa accadeva intorno a me, non dovevo prenderla in modo personale, e se qualcuno – magari senza neppure assumersi la responsabilità di conoscermi prima di esprimere un giudizio – mi insultava, era evidente che non stava parlando di me ma di se stesso, ed io non dovevo farmi imprigionare.
Nulla di ciò che facevano gli altri era a causa mia.
Ognuno vive nella propria mente e affronta le proprie emozioni, dovevo allenarmi per non mangiare la spazzatura emotiva altrui. Questo era un punto importante sul quale fare del mio meglio per realizzarmi interiormente: dovevo insomma essere impeccabile con la parola e non assorbire la negatività dell’infelicità altrui.
Mi rendevo perfettamente conto che era un punto di partenza, ma basilare, ma che non sarebbe stato facile non cedere al dolore o – peggio – trasformarlo in rabbia.
Ma mentre ero immerso nei miei pensieri, ho alzato lo sguardo sul prato, davanti a me danzavano le farfalle trasportando il polline di fiore in fiore.
Ancora oggi, quando la mia volontà dà segni di cedimento, ripenso a quel giorno e torna la certezza.
Ce la farò: fino a che le farfalle voleranno, ce la farò.
Non so se sia un caso o è telepatia, comunque è realmente accaduto che mentre sito finendo di scrivere questo racconto ed è mattina, entra in camera mio padre – non è al corrente dell’argomento che sto trattando – che, nel salutarmi, mi dice che nella notte ha sognato, dopo tanto tempo, la nonna Mimi.
~ Corrado Tonini
Gioie e bisogni condivisi
Ho incontrato Patrizia e Sara circa 5 anni fa grazie ad una amicizia in comune.
È nata da subito une bella sinergia ed abbiamo deciso di provare a far partire un Atelier di musica e canto durante il pomeriggio della domenica, per intrattenere e allietare i partecipanti, con un’attività che potesse creare interesse ed entusiasmo durante il loro tempo libero.
Una sfida che a distanza di 5 anni possiamo dire di avere vinto.
La musica, attraverso le emozione che suscita, attiva il sistema limbico della gratificazione provocando forti reazioni emotive di piacere. Durante gli Atelier, tutti entriamo in risonanza e questa situazione ha favorito la creazione di legami importanti.
Con ASI mi sono sentito da subito parte di una famiglia e proprio perché ci sentiamo tutti parte di un gruppo le esigenze di uno sono le esigenze un po’ di tutti.
Il mio ruolo all’interno del gruppo si è naturalmente modificato. Non è solo quello del musicista professionista che intrattiene un gruppo ma, sentendomi sempre più coinvolto, mi sono, naturalmente, trovato a partecipare a diverse attività che vanno oltre il mio ruolo di musicista.
Durante il periodo del lockdown, per esempio, tutti noi abbiamo avuto la medesima esigenza. Non restare da soli. Abbiamo così sfruttato le piattaforme come Skype e Zoom per poter continuare a coltivare i nostri rapporti e nello stesso tempo a crearne altri. La Domenica pomeriggio ci si ritagliava un’ora per cantare insieme a distanza, e durante i Sabato sera abbiamo dato vita ad un vero e proprio viaggio nel tempo, alla scoperta del periodo barocco. Questa attività è stata portata avanti con un entusiasmo contagioso, ci sentivamo parte di qualcosa di bello. Potevamo condividere le nostre passioni, essere contagiati da quelle degli altri, abbiamo stretto legami importanti perché abbiamo condiviso qualcosa di speciale e fuori dall’ordinario.
Un altro esempio sono le vacanze ASI. Ogni estate passiamo una settimana insieme al San Bernardino, tra passeggiate, canzoni, giochi, emozioni. Queste sono attività che, condivise, creano legami importanti.
Ed infine mi sembra doveroso citare il nostro ultimo progetto: il teatro di quartiere. Un modo per far conoscere chi siamo, attraverso l’arte della recitazione, del canto e del movimento del corpo. Questo progetto inclusivo (spesso persone del quartiere di Breganzona partecipano o assistono alle nostre prove) dà la possibilità ai ragazzi e ai familiari curanti di scoprirsi, capirsi e vedersi in un ambito diverso da quello quotidiano. Arricchisce ognuno di noi.
Mi sembra doveroso dover ringraziare i miei compagni di viaggio: in primis Patrizia, Renè, Ettore, Andrea, Graziano ma soprattutto tutti i ragazzi, i grandi protagonisti di questa bella famiglia chiamata ASI.
Resilienza
Sto ricordando cosa mi ha spinto a cercare il perché del mio star male quando ancora tutto questo non aveva un nome. La prima parola che mi viene alla mente è resilienza.
Il mio percorso di vita, era da sempre stato difficile: capire e farsi capire, riuscire a comunicare con gli altri pur funzionando in un modo diverso, farsi accettare da un gruppo che ti rifiuta, percepire con intensità le emozioni altrui e sentirsi infinitamente solo.
Con un filo conduttore di un vissuto doloroso di sfasamento costante e di incomprensione reciproca.
Ecco come si arriva ad autodiagnosticarsi l’asperger, ci si arriva quasi per disperazione e per non abbandonarsi completamente alla depressione che è stata per tanto tempo la nostra compagna di vita.
È un momento molto delicato: da un lato, tiri un sospiro di sollievo, dall’altro pensi cosa puoi fare per far capire agli altri in che cosa consiste la tua diversità.
Ancora una volta sei solo, la depressione non è scomparsa miracolosamente, tanta è la strada ancora da percorrere per far capire a chi c’è vicino, che da quel giorno tutte le convinzioni, i progetti, persino il modo con cui si dialoga, le parole che si usano, sono da rivedere.
Si deve ricominciare tutto da capo e, a differenza di quando nasce un bambino e ci si può rifare all’esperienza che da generazioni viene tramandata, in questi casi non ci sono istruzioni per l’uso.
Credo che la preoccupazione di un genitore, nel momento che si rende conto di avere un figlio aspie sia enorme, io ho letto negli occhi dei miei genitori la paura di non essere all’altezza di aiutarmi e la difficoltà a capire che entrare nel mio mondo avrebbe inevitabilmente ribaltato il loro.
Ma qui ci ha unito l’amore.
Per amore si sono informati e sempre per amore ho e abbiamo cercato specialisti che li potessero supportare per decodificare il mio mondo.
Oggi va meglio, la mia famiglia ha capito che io ho tempi e modi diversi per affrontare lo studio, il lavoro, insomma la vita… qualche volta discutiamo ancora, ma tante volte ridiamo insieme.
Non abbandonarsi alla disperazione e farsi aiutare è stata la scelta migliore per superare la depressione che mi impediva di operare delle scelte per il mio futuro.
Sono convinto che ognuno di noi abbia delle qualità; per metterle a frutto però bisogna innanzitutto star bene con se stessi capiti ed affiancati dalle persone che ci amano.
~ Corrado
Fiducia e coraggio, un antenna è pronta ad accoglierci
Buongiorno a tutti,
con questa mia testimonianza vorrei trasmettere, a chi legge, fiducia e coraggio nell’affrontare una situazione di difficoltà simile a quella che abbiamo vissuto noi come genitori di una ragazza di 32 anni che si è auto-diagnosticata Asperger 6 mesi fa, ricevendo successivamente la conferma dopo che si è rivolta ad una psichiatra esperta e molto brava.
Quando nostra figlia ci ha comunicato la notizia, eravamo molto scettici e preoccupati, non avremmo mai pensato che all’origine della nostra difficoltà di comunicazione, ci fosse – non saprei come definire… – la neuro divergenza da parte sua e la neuro tipicità da parte nostra. Due mondi diversissimi tra loro!
Con il senno di poi, alla luce della conoscenza di questa realtà, molte cose del passato hanno trovato un loro senso e oggi tutto mi appare molto più semplice.
Sapevamo che nostra figlia è una persona con molte doti, ma vedevamo anche una serie di difficoltà su altri aspetti e pensavamo di doverla in un qualche modo educare e cambiare rispetto a quella che noi pensiamo essere la normalità e, soprattutto, l’inserimento nella società e nel mondo del lavoro, senza conoscere ed avere un’idea delle difficoltà che tutto questo comportava per lei.
Come genitori, invece abbiamo scoperto che i ragazzi Asperger concepiscono l’universo con occhi, sensibilità e letture completamente diverse da noi neuro tipici, un mondo molto diverso ma molto molto interessante, tutto da scoprire, che ci fa crescere sia come genitori che come persone.
Ecco… io, personalmente, posso dire di aver fatto un grande passo avanti verso la comprensione del mondo Asperger e dell’Autismo da quando ho incontrato ASI e il Gruppo di Auto-Aiuto: formato dai genitori di ragazzi con DSA e dalla presenza, ai nostri incontri, di Patrizia – madre e presidente ASI – che è un vulcano di idee, iniziative e organizzazione, e Daniela – la nostra psicologa – con la sua calma, il suo sorriso, i suoi incoraggiamenti.
Due punti di riferimento indispensabili che, insieme, ognuno con le proprie specificità, danno completezza e orientamento a noi genitori, con molte proposte e ascolto da una parte, supporto e accoglienza dall’altra. Due ruoli che tra loro spesso si fondono, in un clima di collaborazione.
Queste due figure sono di basilare importanza, come in una famiglia, danno sostegno, con molta semplicità e disponibilità, specie quando noi genitori all’inizio siamo parecchio in difficoltà: ci sentiamo inadeguati, spaesati e alle volte anche un po’ disperati.
Come mamma, aver frequentato il gruppo e ricevendo parecchi input, mi ha permesso di placare un po’ le mie ansie e sensi di colpa, mi ha spinto a crescere e a capire mia figlia, anziché ripensare continuamente agli errori del passato.
Mi sono sentita aiutata e capita, non più sola, cosa importantissima, perché poter condividere i problemi consente di rielaborarli e ridimensionarli.
Inoltre, la cosa molto bella è che non ho mai trovato del giudizio, ma sempre comprensione e suggerimenti, insomma uno spirito sempre costruttivo.
Quello che trovo anche molto utile e fondamentale in questo gruppo, è che ci sono momenti di condivisione con tutti ma anche momenti dove poter avere un piccolo parere – ma di grande importanza e aiuto – a quattro occhi, sia con Patrizia, che si fa sempre in quattro, sia con Daniela, che dà sempre degli interessanti spunti di riflessione e chiavi di lettura.
Questo permette una crescita che al momento potrebbe sembrare solo individuale ma che può aiutare il gruppo in un secondo tempo, perché si può condividere un’esperienza di successo dopo che si è messo in atto un suggerimento o si è vista la questione da un punto di vista che non avevamo saputo cogliere prima.
Il tutto in un ambiente di grande garbo.
Trovo questo gruppo molto in equilibrio e contemporaneamente sempre in fermento, dove ognuno può portare il proprio contributo, sia in termini di esperienza, sia in termini di crescita.
La mia vita è cambiata e per questo ringrazio ognuno di voi. Oggi sono più serena, ho potuto ricucire il rapporto difficile con mia figlia, mi sento più in grado di supportarla quando ha bisogno, perché mi rendo conto meglio delle sue necessità, delle sue fragilità e contemporaneamente dei suoi punti di forza.
Grazie di cuore.
Anna
Anna e le tre parole guida, determinazione, coraggio, fiducia
Care famiglie,
mi trovo qui a scrivere per raccontarvi della mia esperienza con mio figlio di 3 anni affetto da DSA con diagnosi posta a luglio 2020.
L’argomento di cui vorrei raccontarvi la mia esperienza è *il linguaggio*.
Non so quanti di voi sono in questa fase ma noi ci siamo in pieno!!
Tutto è iniziato verso i due e anni e mezzo quando mio figlio rispetto ai coetanei non diceva quasi nulla, solo monosillabe , di difficile comprensione per noi, e altri suoni senza un fine comunicativo reale.
Mi capitava spesso che quando uscivo con altre mamme, e raccontavo loro la mia preoccupazione rispetto all’assenza di linguaggio mi dicevano: “apprezza il silenzio, perché quando iniziano non smettono più?”, io rimanevo basita forse non si rendevano conto della ricchezza che avevano, di quanto sarebbe stato per me magico sentire la voce di mio figlio, sentirmi chiamare “mamma” o semplicemente ricevere risposta alle domande che gli ponevo. Con un sorriso di circostanza cercavo di cambiare argomento perché in quei momenti mi rattristavo molto, iniziavo a pensare a mille perché? senza trovare risposte.
Non so a voi ma il linguaggio verbale per me è e vita è scambio, il dover sempre interpretare il non verbale di mio figlio a volte mi esaurisce, devi sempre prestare attenzione ad ogni dettaglio, ad ogni variante ambientale possibile e non sempre lo capisci e in quel momento inizia il mio senso di frustrazione e disagio.
Purtroppo una caratteristica dei bambini affetti da DSA è anche il ritardo o assenza di linguaggio e la difficoltà di avere un linguaggio intenzionale.
Prima di poter accedere ad un percorso logopedico bisogna però lavorare su altri aspetti, quali :attenzione e catturare lo sguardo. In questi mesi non è stato semplice perché solo grazie al sostegno e al lavoro in equipe dei terapisti che ruotano attorno a lui e anche alla nostra costanza abbiamo potuto intraprendere a gennaio 2021 un percorso logopedico.
Vorrei dirvi questo cari genitori, siate caparbi e determinati, il duro lavoro ripaga sempre. So che non è facile, sparatutto in quelle giornate buie dove si fa fatica a vedere il positivo, perché il nostro piccolo è in una giornata NO, dove si è stanchi, ma è proprio li che dobbiamo trovare in noi la forza di reazione.
Quante volte mi sono posta la domanda :”quando parlerà? Quando?” accompagnata da momenti di tristezza e lacrime, perché dio solo sa quanto vorrei poter parlare con mio figlio, a questa domanda ancora oggi non ho risposta, ma posso dirvi che sentire uscire della parole : mamma, papà, bebè, durante una seduta logopedica ,è stato un emozione indescrivibile come un raggio di sole che mi ha scaldato il cuore e riempito gl’occhi di lacrime.”
Anna
Il tempo libero per Corrado
Premessa
Ringrazio Patrizia per ospitare le mie riflessioni nella rubrica di asi.
Ci tenevo a esternare la mia gratitudine per aver contribuito a mettere in luce quelle che sono le mie qualità e a darmi un input oltre che un indirizzo nuovo ai miei studi. Sono una persona molto fortunata da diversi punti di vista e posso contare sull’appoggio di una famiglia e una rete di persone amiche molto protettiva.
Da poco tempo questa rete rete si è estesa oltre i confini italiani entro i quali io vivo e adesso include anche asi.
Forse il nome di questa associazione andrebbe cambiato in “nessuno si salva da solo” ed è proprio questo che asi porta avanti:l a cura della solitudine e della desertificazione dell’anima, che sono la vera malattia del secolo.
Lo fa in modo discreto, non invasivo e, cosa veramente rara di questi tempi, non impone dei modelli, ma propone, a chi ne sente il bisogno o la curiosità, una serie di attività che possono dare un respiro più leggero alla vita.
Grazie di cuore
Non è semplice essere un aspie, figurarsi quando lo si è auto diagnosticato relativamente da grande come è stato nel mio caso.La mente è dimora di se stessa e di per se può fare di un Inferno un Paradiso e di un Paradiso un Inferno (John Milton )
Prima di capire che le mie difficoltà avevano un nome, trascorrevo il mio tempo libero seguendo un copione già scritto: un po’ di sport e in alcuni di essi me la cavavo con dignità. A volte incontravo amici con i quali facevo cose che normalmente fa un ragazzo della mia età. Ho frequentato per alcuni anni un corso di teatro e, siccome, a differenza di altri, mi riusciva quasi naturale interpretare personaggi che non erano me, era gioco facile emozionare gli spettatori. Insomma, nel tentativo di non deludere la mia famiglia, che con inconsapevole ignoranza mi riversava addosso le sue aspettative, non staccavo mai la spina, ciò che avevo dentro era sempre in funzione, goffamente e con grande spreco di energia arrancavo in questa vita fino a quando, alla sera, mi chiudevo dietro le spalle la porta , e finalmente, accendendo il mio pc spegnevo, o meglio sedavo i miei sensi dilaniati da tutto ciò che mi strideva intorno e il terrore di essere rifiutato.
Poi è arrivata l’autodiagnosi e la consapevolezza.
Per conoscere il tuo aspetto devi guardare in uno specchio, ma non scambiare quel riflesso con te stesso.
Quello che è percepito dai nostri sensi e dalla nostra mente non è mai la verità.
Tutte le visioni sono solo creazioni mentali; se credi ad esse, il tuo progresso si ferma. Chiedi per chi avvengono le visioni, chi è il loro testimone. Liberati da tutti i pensieri, rimani nella pura consapevolezza. Da quella non muoverti.(Ramana Maharshi)
C’è una terra di mezzo fra l’auto accettazione e il vivere una vita piena: mia madre che è stata il mio anello di congiunzione con la vita ,mio padre che quando io ancora ero un piccolo essere che nuotava nel liquido amniotico già era entusiasta di me. Per far sì che io consolidassi l’immagine di me stesso e creassi giorno per giorno la mia maniera di stare al mondo, dovevano accettarmi ,non solo con la testa ,ma soprattutto con il cuore, ed essere ancora una volta l’anello di congiunzione tra la mia vita e un mondo fatto a misura di neurotipici.
A volte non è stato facile, in qualche occasione ancora devo spiegare che cose apparentemente banali, per me sono montagne insormontabili, ma la parola chiave è stata ed è ancora equilibrio.
Oggi ho difficoltà a parlare di tempo libero, perché mi piace pensare che ho semplicemente del tempo, ma se consideriamo come tempo libero quello che non passo a studiare, mangiare o dormire, direi che lo occupo leggendo di personaggi che mi affascinano per il loro ragionamento rivoluzionario, attualmente Nicola Tesla, poi mi interessano molto le erbe officinali e i funghi curativi e cerco di procurarmeli, possibilmente non ricorrendo agli acquisti online ma scovandoli in erboristerie di nicchia. Ultimamente ho scoperto l’anatomia metafisica. Faccio spesso passeggiate fino ad un piccolo parco vicino a casa ,mi siedo ed ascolto musica dagli auricolari.
Proprio in questi giorni osservando dei giocatori di paddle all’opera ho pensato che potrei informarmi, ma non voglio legami troppo impegnativi.
Non sto frequentando nessuno dei miei vecchi amici perché istintivamente intuisco che non è il momento giusto, ribadisco in ogni momento il mio diritto di smentita, ma soprattutto mi sto prendendo cura con gioia della mia anima.
Corrado
Vi abbiamo già parlato in un articolo precedente del bellissimo libro autobiografico di Daniele Bucello,
“Lo spettro con il cuore – Vita da Asperger”
Per darvene un assaggio, oggi con grande piacere condividiamo con voi la stupenda prefazione del Prof. Antonio Persico, che ringraziamo e salutiamo.
Ricordiamo a chi fosse interessato all’acquisto del libro, che tutte le info necessarie si possono trovare direttamente sul profilo dell’autore:
https://www.facebook.com/DaniBucello/
Prefazione del libro scritta dal Prof. Antonio Persico
Questo libro è un’autobiografia e, come tutte le autobiografie, è un testo molto semplice e molto complesso al tempo stesso. Molto semplice: non è una Intricata storia di popoli, di scontri di masse, di visioni del mondo e del senso della vita, di trame carsiche per il potere o per il denaro, è la semplice storia di una vita, della vita di una singola persona. Molto complesso: tanto quanto può essere complessa la vita di una persona, di ogni persona, di tutte le persone, e ancor più complessa quando a renderla tale è un modo peculiare di essere “persona”, un modo che chiamiamo “Sindrome di Asperger”.
Per la verità questo termine non lo dovremmo più usare, né Daniele Bucello, né io, perché l’ultimo Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, il DSM-5 della American Psychiatric Association, ha cancellato questo disturbo, diluendo il modo-di-essere Asperger nel grande contenitore del “Disturbo di Spettro Autistico”. Tuttavia né Daniele, né io intendiamo rinunciare ad un termine che designa una modalità di essere-nel- mondo molto specifica, riconducibile certamente al complesso universo autistico, ma al tempo stesso dotata di caratteristiche proprie. Una di queste: il linguaggio. Un linguaggio colto, forbito, come quello del bambino la cui prima parolina non è stata “mamma” o “papà”, ma “astice”… Un linguaggio che i nonni fotografano benissimo, dando a questi bambini titoli affettuosi come “il professorino”, oppure “il mio piccolo avvocato”. Un linguaggio fatto a volte di frasi che per costruzione appaiono quasi prese dalla letteratura latina più che da quella italiana. Frasi che si susseguono senza sosta, Incalzanti, senza soluzione di continuità, come a voler riportare nel testo scritto quella prosodia costante e a flusso continuo che così spesso si riconosce nelle persone Asperger. La seconda: l’intelligenza. La persona con sindrome di Asperger ha un’intelligenza almeno nella norma, ma spesso superiore alla media. Sentirete Daniele narrarvi di un percorso di studi encomiabile, dell’accesso ad una prestigiosa università raggiunto con relativamente poco sforzo, di una laurea specialistica ottenuta con il massimo dei voti e con la lode della commissione. Tutto questo, nell’immaginario collettivo, ingenera un grande equivoco, ossia che essere Asperger “è bello”, è sinonimo di genialità, è quasi un punto di vanto perché si ritiene che fossero Asperger tanti scienziati e musicisti del passato (e del presente), non ha implicazioni negative, non è un “Disturbo”… e invece lo è, come avrete modo di leggere in queste pagine, perché un disturbo altro non è se non un’interferenza che crea una distanza tra quello che sono e quello che avrei potuto e che avrei voluto essere. Un disturbo nel campo del comportamento umano altro non è se non una condizione (genetica? neurobiologica?… diciamo qui solamente “da anomalo neurosviluppo”) che mi Impedisce di essere come avrei voluto essere e come sono tutti gli altri. Per questo motivo, un disturbo ingenera sofferenza: non c’è un “disturbo” senza sofferenza della persona che ne è portatrice, in primo luogo, e poi dei suoi familiari. Quando voi leggerete della sofferenza che le difficoltà di relazione generano in Daniele fin dall’asilo, vi ritrovate il germe di quella che sarà la sua sofferenza ben maggiore negli anni della scuola superiore. Quando Daniele ci racconta delle sue esplosioni emotive (i “meltdown”) delle quali poi si pente, è amareggiato, si scusa ma ormai il vaso è irrimediabilmente rotto e relazioni faticosamente costruite nel tempo vanno ln frantumi, il lettore tocca con mano una sofferenza vera, genuina: non è così che l’Autore avrebbe voluto essere e come voleva che andassero le cose. Ma tant’è… la Natura ha voluto così e così è andata! Anche chi dice che essere autistico significa chiudersi nel proprio mondo “perché non si avverte il bisogno dell’altro”, sbaglia grandemente. Daniele ci mostra il contrarlo, “10 avevo fame, una fame mostruosa, di amicizie, di socialità e di divertimento con i coetanei. Ma non ci riuscivo”. E questa sofferenza non è poi così lontana da quella delle persone che, emigrate in Paesi di cui non parlano la lingua e non conoscono le regole sociali, si trovano spaesate, disorientate, credono che in metropolitana tutti stiano parlando e ridendo di loro, pensano al loro Paese di origine con nostalgia. Ma qual è il Paese di origine di una persona Asperger? … forse Marte, come mi disse una volta un ragazzo che si sentiva “marziano” nella sua città natale!
A fronte di questa sofferenza e di tutte le difficoltà che nella vita di Daniele sono derivate dal suo essere Asperger, non si può non osservare, per contro, la sua generale positività ed una grande forza d’animo nell’affrontare la vita stessa, partendo proprio da qui, da questo libro che tanto tempo e fatica gli hanno richiesto. Con grand e sincerità e coraggio , Daniele guida noi “normotipici” nella comprensione dei suoi vissuti emotivi ed esistenziali, anche di quelli più profondi. A volte lo fa con drammaticità e pathos, altre volte con un tocco di umorismo che non ci si aspetta da una persona con sindrome di Asperger. Come non sorridere insieme a Daniele della sua fissazione per gli sciacquoni dei gabinetti? E di “farfallino”? È bello saper sorridere di se stessi, non prendersi sempre troppo sul serio, ma ci vuole una forza d’animo che anche molti “normotipici” non hanno. Anche il contatto con l’affettività, che tante difficoltà ingenera nelle persone Asperger, quando si verifica sarà per il lettore particolarmente toccante, perché è come se l’emozione emergesse improvvisamente dal profondo, spaccando una calotta di ghiaccio artico solo apparentemente uniforme ed infrangibile. Ma così non è, sembra dirci Daniele, dietro una scorza in apparenza fredda, arrogante, distaccata c’è un cuore caldo che batte forte ed è capace di grandi gesti.
Indubbiamente la lettura di questo testo risulterà molto utile a tanti di noi che hanno occasione di relazionarsi con persone Aspie (perdonatemi ma preferisco di gran lunga il simpatico nomignolo “Aspie” al termine “Autistici ad alto funzionamento”… non ho mai amato l’idea che un essere umano “funzioni” come se fosse una macchina!). Aiuterà genitori ed operatori a Interagire con maggiore consapevolezza e comprensione dei comportamenti che osservano nei loro ragazzi. Aiuterà datori di lavoro nel creare condizioni lavorative in cui i soggetti Asperger possano esprimersi al meglio, non certo l’ambiente rumoroso e caotico degli open -space con decine di scrivanie che non rispetta per nulla l’ipersensibilità sensoriale di queste persone. Aiuterà molto gli Insegnanti a rendersi conto prima di tutto dell’importanza che ricoprono nella vita di tutti i loro studenti, ma specialmente di quelli con difficoltà e fragilità. Li aiuterà ad interpretare correttamente questi comportamenti per il reale significato che hanno nella mente e nel cuore di un ragazzo Asperger, non per quelle che sono le mere apparenze. Li aiuterà a capire quanto è necessario per un Insegnante comprendere e supportare il ragazzo Asperger presente nella sua classe, sia riguardo alla performance scolastica (… anche in educazione fisica!), sia nei limiti del possibile schermandolo dall’inevitabile pressione esercitata dai coetanei che, in alcune fasce di età, a tutte le latitudini non brillano per sensibilità e altruismo.
Per tutti questi motivi, penso ch e il “germe positivo e produttivo” che Daniele voleva trasmettere tramite questo libro possa effettivamente infettare il lettore ma, a differenza del coronavirus, in un senso molto positivo. Altri autori hanno già scritto testi autobiografici raccontandoci del loro autismo, penso a Temple Grandin, a Jasmine Lee O’Neill, a Tito Rajarshi Mukhopadhyay. Questo però non implica affatto che lo scritto di Daniele sia ridondante. Ogni persona autistica è portatrice di vissuti e caratteristiche assolutamente propri, di un modo personalissimo di esperire la propria vita ed il proprio essere autistico. Daniele ci prende per mano e ci fa entrare nel suo mondo Aspie. Sarà un viaggio che ci porterà dentro un mondo diverso, dove è diverso il modo di percepire sensazioni, d i interpretare la realtà, di costruire reti logiche di relazione, di ricordare vissuti ed episodi del passato, di preparare un colloquio di lavoro, di salire sul tram e guardarsi intorno, di entrare in un’aula di università per assistere ad una lezione, di osservare le proprie mani, di andare in birreria con il proprio fratello e la sua comitiva di amici, di avvicinare una ragazza carina… Chiunque abbia letto altri libri sull’autismo non tema di rileggere una copia o una replica di cose già sentite, avrà modo di seguire la traccia di una vita unica e irripetibile. E ora preparatevi… si parte!
Antonio Persico 10 febbraio, 2020
I fiori di Corrado Tonini
Queste mie testimonianze sono fiori che virtualmente offro all’esistenza in segno di gratitudine.
Quando ho deciso che era tempo di uscire dalla nuvola nera che mi avvolgeva e di prendermi cura della mia vita, liberandomi per prima cosa da false credenze e ascoltando il mio cuore, da buon aspie, portato naturalmente a indagare sulle cose partendo da molto lontano, ho ricercato nei libri le conferme a ciò che intuivo.
Capire che non solo ciò che si vede è reale è stato un buon inizio, poi è arrivata la meditazione e di seguito la spiritualità.
”… tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di trovare quella realtà. Non c’è altra via. Questa non è Filosofia, questa è Fisica.” (Albert Einstein)
Meticolosamente ho stilato un elenco di ciò che mi faceva star male e di quello che viceversa mi dava serenità, la prima considerazione, il “primo nodo”, è stato quello della comprensione di ciò che ascoltavo. Mi dicono che in un passato non troppo lontano le convenzioni sociali, tradotte da alcuni come buona educazione, da altri come ipocrisia, creavano barriere contro il degrado verbale, oggi, l’arroganza, la maleducazione, la mentalità egoica imperano, forse sono nato nel periodo più infelice da questo punto di vista, perché percependo io violentemente e all’ennesima potenza la negatività di certe frasi la mia anima ne usciva devastata.
Istintivamente percepivo anche nelle parole l’energia sia positiva che negativa che in esse era contenuta ma non riuscivo a distinguere quando la stessa parola era usata in un contesto diverso da quello originario.
Faccio un esempio: la parola maiale, di per se non è portatrice di energia negativa, non capivo l’offesa se qualcuno veniva additato come tale, tuttavia rimaneva per me un mistero il perché veniva chiamato in quel modo se in effetti un maiale non era. Allo stesso modo non riuscivo a capire cosa c’era di buono in un medico che si adoperava per sconfiggere le malattie tanto da essere definito per questo “una macchina da guerra”, quando la parola guerra porta dentro di se energia negativa.
Detto così, questo racconto può apparire come la descrizione di alcuni aneddoti bizzarri e al limite divertenti ma così non era. Dietro a tutto ciò c’è il ricordo di un periodo brutto della
mia vita, quando, siccome non capivo e non ero capito, mi sentivo perennemente uno straniero, lontano da casa e deriso. A volte per calmare la tempesta dentro di me mi sdraiavo a guardare le stelle e pensavo che forse li era la mia casa lontana.
Forse era vero, forse nel pianeta da dove venivo non esisteva ne il bene ne il male e io ero venuto sulla terra per imparare la sofferenza, avevo paura come si ha paura delle cose che non si conoscono.
Col tempo ho capito che al significato che si può dare a certe parole posso arrivarci, anche se a fatica, con il ragionamento, per questo motivo, nella maggior parte dei casi, se non è importante passo oltre. Altra cosa è la reazione a frasi che il mio cuore percepisce chiaramente cariche di energia negativa e che ho imparato a classificare come frutto di una società malata, per questo non mi faccio schiacciare da loro, le parole chiave da tenere in mente in queste situazioni sono “compassione e amore”, ho capito col tempo che non devo essere complice della negatività, non reagire emotivamente, o accettare senza farsi coinvolgere è dare la possibilità all’esistenza di farsi carico di tutto il lavoro.
Corrado
Enrica e l’accoglienza di asi
Quando, nel 2017, mi trovai, per la prima volta a partecipare ad una iniziativa asi, a Lugano, mi sentii in un mondo diverso.
Madre di un figlio adulto diagnosticato con sindrome di Asperger, che aveva preso contatto autonomamente con l’associazione, venni coinvolta nel loro programma: conferenze, iniziative, dibattiti, discussioni sulle varie problematiche e sui vari temi; argomenti che l’avere un figlio o famigliare dello spettro autistico costringe ad affrontare.
Sono problemi difficili e impegnativi che ero abituata a trattare o in famiglia, con mio marito, o con specialisti del settore: i vari psichiatri e psicologi che abbiamo incontrato nel corso della nostra vita, dal momento ormai molto lontano, in cui ci siamo resi conto che nostro figlio piccolo mostrava, nel suo comportamento, delle diversità dalla norma.
Una strada difficile, in salita, grado scolastico dopo grado scolastico, anno dopo anno.
Credo che solo chi vive l’esperienza di un figlio asperger o comunque rientrante nello specchio autistico, possa capire come una giornata può essere, a volte, come una montagna da scalare.
Giunti a Lugano e frequentando asi, grazie soprattutto all’accoglienza della presidente ci siamo trovati in un luogo estremamente confortante e amico: chi vi partecipa conosce la situazione, chi ne fa parte lo condivide con te, chi incontri è a conoscenza dei tuoi stessi problemi.
Questo è molto importante.
Ti senti meno solo nel percorso, puoi chiedere un parere o un consiglio, puoi capire e seguire la strada già tracciata da altri.
La condivisione in una situazione come la nostra, di genitori che hanno un problema difficile da gestire, di cui spesso la società non è neppure consapevole, è estremamente importante: ci sono per noi momenti di grande difficoltà nella comprensione delle dinamiche dello spettro, momenti di grande sconforto, momenti di timore per la serenità e per il futuro dei nostri figli.
Insieme, in asi, tutto si allevia, non perché si risolvano magicamente i problemi, ma perché se ne parla, perché si cerca di affrontare le difficoltà per quello che si può fare, perché si riflette insieme sul presente e sul futuro.
Già, le incognite del futuro… un genitore di un figlio appartenete allo spettro autistico sa che il futuro fa paura, che non è prevedibile… se il presente si riesce a gestire con molta fatica e molto amore, il futuro, che ci troverà più anziani e indeboliti è un pensiero angosciante.
In asi se ne parla, si cercano soluzioni e progetti.
In asi non ci si sente soli e disperati.
Grazie asi.
Enrica